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Sandro Dell'Orco / 2007

Brani tratti dal Testo "Giancarlo Flati" - Collezione Esmeralda Vol.IV, Zanotto Ed., 2007

(...) L'ispirazione, la rinuncia dell'artista alla sua individualità empirica, per accogliere la visione da oggettivare nella materia, pare garanzia di un nuovo modo di conoscenza libero da intenzionalità soggettive e dalla ratio - buona, quest'ultima, solo per l'al di qua, ma inutile nell'al di là. Il ragionamento è: sono un uomo, sono una scheggia dell'universo, sono dotato di ragione e di linguaggio, dunque io posso essere, se voglio, la voce dell'universo. L'universo è, in un certo senso, il mio corpo, e la mia mente è la sua mente, solo che io la sottragga alla mia individualità empirica, al mondo, e la ponga al suo servizio. L'arte si illude così di diventare il linguaggio stesso dell' "Essere". Un linguaggio ovviamente ermetico, oracolare, oscuro - ma bisogna accontentarsi, non si può pretendere che l' "Essere" parli dei suoi misteri con la chiarezza e la semplicità di un maestro elementare. Scherzi a parte, è questa, in poche battute, la posizione ermetico - orfica che sta alla base della poetica luziana e di quella di Giancarlo Flati, che ad essa si ispira. Tutto ciò naturalmente non tocca affatto l'indubbio valore delle loro opere, ma solo, per così dire, la loro autocoscienza, la coscienza che i due autori hanno del loro operare. Infatti, il valore estetico dell'opera non è l'intenzione cosciente che l'artista vi insuffla dentro, quanto piuttosto la concreta articolazione formale che la fa diventare una res sui generis, dotata di vita interna, di cogenza nei confronti dell'autore e di chiunque ci getti sopra uno sguardo addestrato. Ecco, è la irresistibilità ciò che denota il valore dell'opera, al di là delle intenzioni che vi proiettano sopra gli artisti o i critici. E tale irresistibilità è ben presente nell'opera di Giancarlo Flati. Anche se egli la declina, sulla scia di Luzi, come parte dell'energia cosmica che lo attraversa e lo invade.
(...) la pittura di Flati parla molto di più e meglio di quanto non faccia quando è vista attraverso la lente deformante della scienza, della metafisica o del sacro. I suoi pannelli sono un campo di battaglia, un campo di forze continuamente confliggenti, di cui, nonostante ogni sforzo, l'autore non può mai venirne a capo mediante l'omeostasi. Alla base c'è la materia primaria informe e indifferenziata, onde o particelle non importa, luce o impasto fine non importa, strutturata dal logos ineluttabile della forma. Questa materia concresce generando materia inorganica e organica - in modo cieco e inarrestabile concresce, al modo dei tumori, incurante del dolore che procura, e seguendo la propria via già tracciata da sempre e per sempre, dall'alfa all'omega e dall'omega all'alfa, in una specie di girone infernale che si avvolge eternamente su se stesso. (...) L'acutezza con cui Flati sa osservare ciò con costanza e coraggio, senza mai ritrarne lo sguardo per l'orrore, costituisce uno dei suoi principali pregi. A ben vedere non c'è nulla di gradevole o ornamentale nella sua pittura, ma molto di repellente e di shockante, nella migliore tradizione del Moderno. (...) Ma dov'è l'uomo nei pannelli di Flati? A volte bisogna cercarlo nei guizzi di luce che richiamano quelli della coscienza - come in Passato o futuro? - a volte nella tensione dei filamenti bio - antropomorfi di Verso l'incognito o Verso la libertà, a volte, in maniera più esplicita, nei relitti e frammenti dei suoi manufatti. Manufatti - si badi bene - sempre infissi nella materia primordiale, a significare l'assoluta dipendenza da questa, sia per l'origine, sia per il destino. E tuttavia, sebbene dipendenti da essa nella nascita, e nella fine certa della morte, sebbene dipendenti dalle sue forze ineluttabili che l'hanno resi appunto relitti - frantumi affilati di specchi, fili elettrici strappati, schede di computer avulse dalla loro sede, brandelli di tela - essi ci sono, e urlano, con la loro eterogeneità, il loro rimandare al benessere dell'uomo, la loro disperata autonomia e libertà dal ciclo infernale del Tutto. Ecco dunque, Flati mi appare come uno degli ultimi cantori della dileguante autonomia dell'uomo all'inizio del 2000. Vede la fine dell'Io e della ratio, la fine degli ideali illuministici, l'abbandono degli uomini al meccanismo cieco delle mostruose leggi naturali e sociali, e impietosamente rappresenta tutto ciò. La dissonanza, l'esplosione, e l'urlo - quello di Immenso passeggero ad esempio - fanno però sempre da contrappunto al dominio ineluttabile del Tutto, che in tal modo non ha mai l'ultima parola. Vince, ma non vince; assorbe in sé ogni esistente, ma non può zittire il grido della sua negazione: quello del dolore e della libertà dell'uomo.