La vita quotidiana appare sempre più permeata dalla tecnologia. Anzi, il mondo digitale sembra mettere in discussione l’irriducibilità della natura, sottoponendola ad un pericoloso gioco di manipolazione. Sono in molti, moltissimi a vivere con entusiasmo questo processo di virtualizzazione. Flati li definisce “Cyberottimisti” che si contrappongono ai “biopuristi” che guardano con ingenuo terrore al fenomeno complesso della tecnologia.
Il secolo delle Avanguardie ci ha consegnato un panorama di rottura in cui l’arte si ribella allo spirito borghese, ai contenuti moraleggianti, prendendo le distanze dalla visione classica, allontanandosi dalla ricerca dell’armonia, inseguendo la pura espressione, il gesto, fino alla completa rottura con la realtà, cui arriva l’astrattismo. Gli artisti ricercano sempre di più la provocazione, interpretando un nihilismo che non desidera cercare alcuna visione del mondo. I futuristi si entusiasmano per la tecnologia esaltandone le visioni. La macchina sembra essere diventato il principale riferimento di un uomo che si proietta oltre sé stesso.
Giancarlo Flati, erede delle avanguardie, ne assume la volontà di superamento degli schemi classici, ponendosi tuttavia oltre il medesimo spirito delle avanguardie.
Se con Lucio Fontana, l’arte diventa filosofia, esplorazione del concetto, distaccandosi dalla figurazione, con Flati l’arte diventa esplorazione del concetto stesso, tuttavia attraverso il potente linguaggio simbolico della figurazione, seppure ai confini dell’astratto.
L’artista ha fondato infatti un manifesto: “L’albero dei MAbits”, utilizzando l’immagine simbolica più classica della storia: l’albero della vita che con struttura a trifoglio, genera i suoi frutti che sono Qbits, Bits, Ebits.
Le radici aeree di quest’albero si radicano nei margini immaginari che esistono tra Arte–Scienza, Mente–Materia, Mente–Spirito, per trarre linfa vitale volta alla generazione di un Nuovo Rinascimento. L’arte, come la filosofia nel mondo contemporaneo, pare assumere il ruolo, non tanto di costruire visioni del mondo, quanto di favorire un luogo fisico d’incontro tra mondi che sembrano contrapposti. Il mondo tecnologico, digitale contrapposto al mondo naturale, potrebbe trovare una terza via, grazie a quella zona d’ombra che si articola con la percezione estetica del “margine”: una sorta di dimensione mediana, che sembra peraltro coincidere con il ruolo dell’uomo, a far da tramite tra il mondo materiale della natura e quello spirituale della metafisica.
Del resto è così che Flati vede l’ “IN-FOR-MAZIONE” del mondo digitale. Il prefisso “IN” farebbe riferimento a quella intuizione spontanea, che pare attingere alla Mente cosmica, ad un ordine invisibile, interno, “implicato”, che preesiste all’avventura dell’esperienza; e questo è il Qbits. A questo proposito voglio citare il gesuita che per primo informatizzò la Bibbia quando ancora i calcolatori funzionavano a schede perforate: il Padre Roberto Busa, che nel libro “Dal computer agli angeli”, spiegava appunto che questo mondo che consente di intuire qualcosa come il Bit, ha una radice angelica. Quindi l’ideazione che fa parte dell’ “IN”, si struttura logicamente nella “FORM”, ovvero il Bits, per poi passare all’ “AZIONE”, l’Ebits, che dona sviluppo dinamico all’energia che connette lo spettatore con l’artista per la mediazione dell’opera. Per questo Flati parla di opere “connesse”, utilizzando un linguaggio familiare contemporaneo. Realizzare opere “connesse” significa dare voce a quell’intimo mondo nascosto, esoterico, delle intuizioni e farle arrivare alla sfera emozionale e razionale dello spettatore. Se l’artista non riesce in questa connessione, secondo Flati, dovrebbe distruggere le proprie opere.
La comunicazione quindi, in perfetta linea comunque con la visione dell’arte Pop, ha un ruolo fondamentale, ma in una dimensione diametralmente opposta: l’arte Pop ruba l’immagine della pubblicità e la trasforma in opera d’arte, così come nella concezione del “Ready made”. L’arte dei MAbits invece è ben lontana dall’arte “applicata” che opera traslazioni, ribaltamenti, ai quali, dopo Duchamp, ci hanno abituato artisti come Cattelan: l’opera di Flati pone in essere un estetica dell’ “implicazione”, dove l’azione dell’artista va alla ricerca di una comune radice tra il micro e il macrocosmo. Giancarlo Flati, professore in Microchirurgia, ha sperimentato la dimensione concreta delle microtecnologie e dell’infinitamente piccolo che fonda la natura e sussiste in perfetto rapporto armonico con l’infinitamente grande.
Tutto il mondo è interconnesso e ogni fenomeno per il mistero dell’ “entanglement”, introdotto da Schroedinger, può connettersi con un altro fenomeno indipendentemente dal luogo. Questo rivela un carattere non locale della realtà fisica, rendendo accettabile l’idea che l’opera d’arte nasca oltre il tempo, perché nasce da una dimensione intuitiva metafisica. Se accettiamo questo, l’opera d’arte cessa di dover seguire le linee del proprio tempo, perché anzi, è essa medesima che scava nelle profondità dell’animo umano e coglie nuove prospettive, nuove visioni, per trasferire alla cultura umana una sempre rinnovata onda energetica che viene dagli abissi dell’Essere.
L’arte “rubata” al mondo della pubblicità, l’arte sottratta al mondo degli oggetti comuni, è comunicazione, provocazione, ironia, ma sembra aver reciso quelle radici aeree che invece vuole evidenziare Flati con il suo lavoro artistico.
In un clima materialista e tendenzialmente ateo, mi piace ricordare che San Tommaso individuò nella categoria di “relazione” la categoria fondamentale dell’Essere. Ogni essere sembra stare interconnesso con l’Essere che regge il mondo, il tutto, senza il quale verremmo inghiottiti dal nulla.
E Flati, in dialogo critico con quell’arte concettuale che finisce per non generare alcun concetto, vuole dare vita ad un Think Tank. L’artista si è definito “un naufrago di un’onda anomala della storia”, perché l’arte deve tornare ad essere propulsione, energia, che spinge ben oltre ciò che si è già visto. Certo, chi si spinge troppo oltre e fa naufragio, si ritrova in un’isola deserta, ma è dal deserto, rispetto al già visto, che sorgono nuove intuizioni.
Così il critico Luciano Carini descrive la poetica di Flati: “Pittura fatta di quantistiche fluttuazioni, di tracciati, percorsi e filamenti che catturano l’osservatore proiettandolo all’interno della sua trama visiva e dentro l’illusoria dimensione dello spazio della rappresentazione in una scansione geometrica senza fine. Un segno, quello di Flati, che non ci appare morbido e fluido, ma piuttosto tormentato e frammentato in continue stratificazioni, in ritmi alternati e intermittenti e poi, ancora, l’intervento di svariati e diversificati materiali come radici, legni, detriti, fossili e schede elettroniche: poetico richiamo al passato e preziosa riflessione sul presente, su una realtà mutata e in continuo, incessante divenire. Espressione che a volte si veste di luminosa e quasi trasparente leggerezza, altre volte di oscura e drammatica profondità, altre volte ancora di chiare e magiche lontananze cosmiche che richiamano mondi stellari infiniti e sconosciuti. Belli anche i suoi colori che, con spontaneità e immediatezza, passano dallo stato liquido a quello materico a rendere il senso della vita, la frantumazione dell’esistenza, gli imprevisti del mortale destino. Espressione intensa, questa di Giancarlo Flati, dove sempre compare la grandezza del vuoto primigenio ma anche, e soprattutto, lo stupore e la meraviglia di fronte alla bellezza dell’universo. Ecco allora il senso di questo Movimento che auspica un’arte capace non solo di guardare la realtà, ma di trans–vedere, di vedere oltre cercando di cogliere, di ogni cosa e di ogni fenomeno, tutte le risonanze interne ed esterne, i riferimenti temporali e spaziali, i contesti ambientali e culturali. E la sua proposta concreta non è tanto quella di creare una “Nuova Corrente pittorica” o l’instaurarsi di uno spirito più o meno gregario, ma piuttosto quello di costituire, nel tempo, un vero e proprio Laboratorio Interculturale e Interdisciplinare libero e aperto abbattendo i confini o i Margini tra spazio e materia, scienza ed arte, mente e coscienza, visibile e invisibile e giungere fino al Margine dei Margini, all’estremo confine della materia sottile, dove tutto è leggero e sospeso, anima e spirito, dove inizia il vero e incontrastato territorio dell’arte”.