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Gioia Mori / 2006

Roma, 15 Marzo 2006

Uomo di scienza e di poesia, Giancarlo Flati da anni ha elaborato dalle conoscenze acquisite attraverso la diagnostica un'iconografia suggestiva e primaria. Invisibile e segreto, esiste nel corpo umano un isolario di forme, colori, movimenti e suoni che riproduce in una dimensione inconcepibilmente piccola la bellezza delle macrostrutture: fiori di cellule, tele di ragno ordite da filamenti organici, microspugne colorate che respirano e mangiano, rami di tessuto, cristalli ossei leggeri come coralli bianchi vivono in regioni specializzate delegate a conservare la vita, vera ultima Thule, unico territorio del pianeta che ancora celi segreti. E' il primordio biologico, che un impercettibile equilibrio sostiene disegnando una struttura complessa, vibrante di un moto leggero. Il suono che ne deriva è un'armonia primigenia, quel soffio vitale che anima il buio cosmico. Flati nelle sue tele disegna la mappatura ingrandita derivante da questa esplorazione nell'intimo, e l'evento cognitivo diventa estetico.
In questa indagine sul corpo segreto Flati si discosta dall'attenzione riservata dagli artisti del Novecento al corpo, ossessionati dalla sua degenerazione e/o conservazione. Un'analisi partita da lontano, dalla malattia intesa come metafora, chiosata poi da Susan Sontag, che aveva fatto leggere le tumefazioni e le impurità come specchi di criminose attitudini e punizioni di inconfessabili segreti, ulcere del peccato che già Degas aveva impresso come marchi sulla pelle di un'innocente ballerina. Il corpo urla poi offeso dai quadri di Bacon, si deforma con i gonfiori dell'obesità di Greenaway e Freud, nei brani di macelleria di Saville, e la sua violazione - le mutilazioni dell'azionismo viennese - è concepita come fatto estetico. Ugualmente parossistiche sono le smanie di conservazione che hanno condotto Gunther von Hagens a esporre reali corpi sottoposti a plastinazione. Il lavoro di Flati ha origini diverse, e pur traendo ispirazione dai risultati di ricerche di laboratorio, non si limita a intervenire con ritocchi e assemblaggi sulle foto ingrandite di cellule del sangue, fibre nervose, brani di Dna, materiali che hanno ispirato gli artisti della mostra londinese Truth & Beauty, intervenuti sulle immagini premiate dai Biomedical Image Awards del 2002.
Piuttosto, Flati riflette e dipinge i segreti del corpo in gloria, perché - uomo di poesia - percepisce che in quell'invisibile celato dentro di noi è racchiuso lo stesso, segreto codice dell'armonia cosmica, la vibrazione che la filosofia orientale indica come primigenia, il soffio biblico all'origine della vita. Rispetto dunque alla ricerca che privilegia la raffigurazione dell'esteriorità del corpo e dei suoi accidenti, rispetto alla ricerca che ingloba stupita ma senza commento le conclusioni fotografiche della diagnostica, il lavoro di Flati si pone come indagine epistemologica, che dall'invisibile del corpo umano cerca di recuperare il modulo costante, l'ordinatore contenuto nelle vie segrete della vita.
Le sue tele vibrano della stesura mossa impressa agli acrilici del fondo, distesi secondo il ritmo musicale di piccole onde, secondo il moto rassicurante del liquido amniotico. Germinano da lì embrioni filiformi, precise colature di sabbia dai profili antropomorfi, infiltrazione archetipica dell'uomo creato dal fango, ancora simili agli esseri alati con cui condivisero la sapienza dell'iniziale età dell'oro. Frammenti di conchiglie convivono con l'idea dell'uomo di sabbia, perché anch'esse detengono il segreto del codice perfetto, quel numero costante che regola la loro spirale, l'interno matematicamente progettato; progettato come le regolari catene del Dna, fili a incastro che disegnano la ragnatela della vita. Non è dunque materiale di recupero casuale quello che alberga sulla superficie delle tele di Flati, nessun oggetto muto abita lo spazio organizzato come un vero palcoscenico, dove sono fissati gli arredi essenziali di un universo ordinato. Sfere perfette di granelli di sabbia, terre della creazione, rami strappati all'albero della vita, conchiglie dall'impalcatura ingegneristica convivono con la fragilità possente del disegno genetico, contenitore di informazioni più capiente di qualsiasi Hard Disk. Protesi tecnologica ideata dall'uomo mimando la propria struttura cognitiva, l'intreccio neuronale ancora pieno di misteri, compare sullo stesso palcoscenico della perfezione naturale, svelando un'anima di plastica, connessioni fili schede. Flati dispone nello spazio di una tela l'origine e il futuro, l'inizio segreto spiato da un microscopio e la conclusione macroscopica e invadente, laddove il simulacro della tecnologia cola il suo ammasso di filamenti di plastica sui fragili accenni dell'umanità di sabbia. L'improbabile e inevitabile connubio tra l'uomo e lo strumento genera la creatura del futuro, l'ibrido fatto di card cavi pin chip virus, telecomandato e registrato, libero ma ovunque rintracciabile: anima telematica, infelice uomo di Bradbury. Il nuovo ibrido non ha certo la terrificante sembianza di una chimera, la tenera innocenza di un unicorno, la naturale sapienza del centauro: la contaminazione non avviene come nelle antiche ere con un bestiale che pure è rimasto dentro di noi. Dal moderno e asettico innesto nasce un umano dal pensiero prevedibile e regolabile, votato alla virtualità che depura l'emozione e alla comunicazione che preserva dal contatto. Il nuovo essere è mostrato da Flati nelle sue componenti essenziali, quelle naturali e quelle artificiali, smontato nelle parti e squadernato sui colori acidi delle tele.
A Flati interessa l'origine degli esseri e l'origine delle loro mutazioni, così come studia e opera sulle mutazioni delle cellule e dei tessuti. Uomo di scienza, è guidato dalla tenacia e dalla sicurezza della conoscenza, ma di fronte al confine impenetrabile lascia libera la sua sensibilità di poeta e artista: solo così lo spiraglio di luce che filtra da una lacerazione del sipario invisibile può essere percepibile, solo l'intuizione creativa sente il soffio vitale di una grandezza non misurabile ma presente nelle pieghe di ogni respiro. Si posano, come impercettibili respiri, i frammenti della percezione sulla tela, le ombre del tempo primario: un codice, un suono, un granello di sabbia. Non è allora una sovrapposizione artificiosa la consonanza dichiarata che esiste tra il lavoro di Flati e la poesia di Luzi, una convergenza emersa a tele compiute: come Luzi, <<lo attirano / nel loro religioso grembo / recessi, labirinti, / pelaghi di densa oscurità / verso le infimi radici, / fino / all'ancora muto verbo, / muto ma / conclamato, / già forte della sua imminenza>>.
Sono uniti - Luzi e Flati - da quella smania di infinito che bruciava la mente della pagana Ipazia, bibliotecaria di Alessandria fatta a pezzi per la sua sovversiva sapienza, prefigurazione di un'eroina del nuovo credo, quella santa Caterina, anche lei di Alessandria, sempre in disputa con i filosofi, che riuscì a superare i confini del sapere solo abbandonandosi alla visione, al matrimonio mistico. Flati porta nel proprio nome il soffio all'origine della vita, e quasi con abbandono religioso si apre a quella percezione creativa che può far intravedere il primo respiro, il "numero" sconosciuto che ordina il caos, la vibrazione primigenia. perché, come medita l'Ipazia di Luzi, non è dato sapere <<di nessuna chirurgia del cuore / che possa metterlo a nudo, decifrarne il senso - mi dico: / la grazia, forse...